Danni causati dall’uso eccessivo di una pasta dentaria: legittima l’istanza risarcitoria nei confronti dell’azienda produttrice

Decisiva l’accertata insufficienza di informazioni fornite per un uso corretto del prodotto e per evitare i connessi rischi

Danni causati dall’uso eccessivo di una pasta dentaria: legittima l’istanza risarcitoria nei confronti dell’azienda produttrice

In tema di responsabilità del produttore, la conformità del prodotto agli standard tecnici – che individuano una soglia minima di sicurezza il cui rispetto è indispensabile per ottenere la certificazione necessaria all’immissione in circolazione – non esclude la sua idoneità a provocare danni e, pertanto, non esonera da responsabilità il produttore che non ha fatto ricorso a misure precauzionali additive e nella sua disponibilità. Questi i principi fissati dai giudici (ordinanza numero 33984 del 23 dicembre 2024 della Cassazione), chiamati a prendere in esame l’istanza risarcitoria avanzata da una donna colpita da neuropatia da carenza di rame a seguito dell’utilizzo di una nota pasta dentaria. Impossibile, secondo i giudici, escludere la responsabilità della azienda produttrice, stante l’insufficienza di informazioni fornite per un uso corretto del prodotto e per evitare i connessi rischi. In generale, è necessario mettere a confronto, precisano i giudici, le condotte delle parti in causa per valutare se il danno poteva essere più facilmente (cioè con minor sacrificio) evitato dalla vittima o dal produttore, alla luce delle informazioni a disposizione di ciascuno dei due. Esaminando specificamente il profilo del difetto di informazione, ha ragione, secondo i giudici, la donna quando osserva che l’informazione che si traduca in una mera avvertenza circa il fatto che un determinato evento possa verificarsi non vale ad esonerare il produttore da responsabilità. Conducente è, invece, solo la veicolazione di informazioni che contribuisca a prevenire un rischio evitabile o a soppesare adeguatamente quello che non lascia altra scelta che accettarlo o rinunziare alle utilità del prodotto pericoloso. Un’avvertenza che non operi in un senso o nell’altro, ma si limiti a ricordare che le cose possono andare male e, su questa base, intenda isolare il produttore da responsabilità, val quanto una clausola di esclusione da responsabilità, e ne condivide le sorti. Viene poi precisato che la responsabilità del produttore non è regolata alla stregua di una responsabilità oggettiva pura (o assoluta), e perciò il comportamento del consumatore non è affatto irrilevante: esso deve essere improntato al principio di autoresponsabilità, e perciò è necessario accertare se vi sono i presupposti per ritenere che proprio l’utilizzatore si sia trovato nella condizione migliore per evitare o contenere il danno. In questa ottica, quindi, ad escludere la responsabilità del produttore di farmaci non è invero sufficiente nemmeno la mera prova di aver fornito – tramite il foglietto illustrativo (cosiddetto ‘bugiardino’) – un’informazione che si sostanzi in una mera avvertenza generica circa la non sicurezza del prodotto, essendo necessaria, invece, un’avvertenza idonea a consentire al consumatore di acquisire non già una generica consapevolezza in ordine al possibile verificarsi dell’indicato pericolo in conseguenza dell’utilizzazione del prodotto bensì di effettuare una corretta valutazione (in considerazione delle peculiari condizioni personali, della particolarità e gravità della patologia nonché del tipo di rimedi esistenti) dei rischi e dei benefici al riguardo, nonché di adottare tutte le necessarie precauzioni volte ad evitare l’insorgenza del danno, e pertanto di volontariamente e consapevolmente esporsi al rischio (con eventuale suo concorso di colpa, in caso di relativa sottovalutazione o di abuso del farmaco). Nella vicenda oggetto del processo, osservano i giudici, le informazioni contenute nel ‘bugiardino’ non erano affatto tali da rendere edotta l’utilizzatrice del rischio cui sarebbe andata incontro ove avesse ecceduto nell’uso del prodotto: è vero che il ‘bugiardino’ avvertiva di non applicare l’adesivo più di una volta al giorno e che il tubetto sarebbe dovuto durare almeno tre settimane, ma non metteva in relazione l’eventuale uso smodato con un rischio per la salute né specifico – neuropatia da riduzione del rame – né generico – danni alla salute - limitandosi a raccomandare all’utilizzatore di rivolgersi al proprio odontoiatra al fine di verificare la protesi dentaria, la quale, per avere bisogno di una quantità elevata di prodotto adesivo, evidentemente presentava problemi di aderenza alle gengive. In altri termini, l’utilizzatore era messo sull’avviso circa il fatto che la protesi potesse essere difettosa, perché per farla aderire alle gengive era sufficiente l’impiego di una quantità minore di prodotto, ma non già del rischio che, continuando ad usare l’adesivo in maniera abnorme rispetto a quella consigliata, avrebbe corso il rischio di subire danni così gravi alla propria salute.

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